Venerdì 27 febbraio sarà il mio ultimo giorno di lavoro full time. Una data storica.

Il tanto agognato tempo parziale è arrivato. Il tanto richiesto e desiderato e sempre negato per 3 anni, finalmente ed improvvisamente è diventato realtà. Quasi non ci credevo più e mi ero rassegnata. Non sapevo più a chi chiedere. A Capodanno avevo anche scritto questo desiderio sulla lanterna (vedi il mio report di Capodanno, qui)

desideri

Desiderio sulla lanterna

Da lunedì 2 marzo inizierò a lavorare solo 4 ore, dalle 9 alle 13.
Nei lunghi giorni che precedevano l’inizio del part time, ho cominciato ad elencare nella mia testa tutte le innumerevoli cose che avrei potuto fare con il pomeriggio libero. Passeggiare, scrivere. Leggere.

Ma soprattutto le cose che non farò più: smettere di correre e di vivere ricorrendo il tempo , smettere di vivere nell’ansia, smettere di rimandare…

Soprattutto, chiuderò il conto con il sensi di colpa verso mia figlia.

La vittoria finalmente sarà dalla mia. Finalmente potrò andare a prenderla tutti i giorni a scuola, farmi raccontare cosa ha fatto di bello, le cose che ha imparato, le difficoltà che ha incontrato. La vedrò crescere insieme a me e non attraverso i racconti dei nonni o delle maestre.

Sarà sicuramente un’altra vita.

Molto più stancante, a volte anche più frenetica, ma sicuramente una vita diversa. L’ago della bilancia si sposterà verso la casa e la famiglia. Avrò anche un’oretta tutta per me, da sola a casa: stare semplicemente sul divano o mettere in ordine casa, uscire a passeggiare o scrivere al pc. Pranzare con un’amica o qualunque altra cosa che neanche riesco ad immaginare!

Potrò semplicemente riappropriarmi di una parte della mia vita che per tutti questi anni, anche prima di diventare moglie e madre, ho dovuto mettere da parte perché il tempo che mancava era fagocitato dal lavoro full time con due ore di trasporto per andare e venire…

Circa 10 giorni fa mia figlia ha eliminato il ciuccio dalla sua vita. Dopo 3 anni esatti di utilizzo più o meno continuativo, ha deciso, da sola, che non lo voleva più.

Io ancora mi devo riprendere da questo evento. Non che non lo volessi, ovvio. Praticamente lo usava solo per addormentarsi e basta e quindi io stavo lavorando, insieme a lei, per un’eliminazione il più possibile dolce e senza traumi.

Mia figlia ha fatto di più.

E’ stata lei stessa a dirmi, una sera, che non lo voleva più e che avrebbe dormito senza ciuccio. Io sono rimasta basita ma ho assecondato il suo desiderio. E da quel giorno – pouff – il ciuccio è sparito, senza una lacrima, senza un capriccio.

Neanche con l’eliminazione del pannolino mi è preso questo senso di angoscia misto a nostalgia. Quella è stata un’autentica liberazione. Con il ciuccio, per quanto faccia più male di un pannolino, per quanto ero contraria al suo utilizzo, mi è presa proprio male.

Infatti, io ancora non mi abituo nel vederla senza ciuccio… Ogni tanto mi fermo e mi chiedo dove è il ciuccio, per paura di averlo perso o dimenticato da qualche parte e mi trovo davanti alla scatoletta ormai perennemente vuota.

E’ proprio cresciuta, si sta trasformando in una bambina.

Forse è a questo che non sono preparata.

Come se il ciuccio rappresentasse l’ultimo avanposto dell’essere “piccoli”. Abbattuto quello, cosa resta?

Fra poco mi chiederà le chiavi di casa?

PS. Se mia figlia ha eliminato il ciuccio spontaneamente e senza traumi è grazie a quella che mi piace chiamare “letturatura di sostegno“.  Ho comprato due libri molto carini sull’argomento e ho cominciato a leggerli con lei, in varie occasioni, varie volte.

I libri sono “Anna dorme senza ciuccio” e “Il Ciuccio di Nina” con una netta preferenza di mia figlia per il primo… che raccontava esattamente  la “sua ” situzione.

Per una recensione dettagliata, puoi leggere “Anna Dorme senza Ciuccio qui e il Ciuccio di Nina qui

Qualche notte fa, guardando mia figlia dormire accanto a me mi sono ritrovata a chiedermi dove fossero finiti i giorni, i tanti giorni, in cui la tenevo tutto il giorno in braccio, lamentandomi per non riuscire a fare nulla, per il peso, per l’isolamento e per l’affaticamento?

Dove sono finite quelle settimane? quei mesi?

Il tempo me li ha portati via, uno dopo l’altro e in quella notte mi sono trovata a chiedermi dove fossero, perchè li stavo rimpiangendo così…

Quando li stavo attraversando, quei giorni, non vedevo l’ora che finissero, che la bimba camminasse e acquistasse la sua autonomia… Pesava a portarla in braccio tutto il giorno, mangiare, camminare con lei in braccio; avevo ristoro solo durante la nanna e le passeggiate in passeggino. Ma il resto del giorno, in casa, insieme, lo passavamo vicine, lei sulle mie braccia…

Gurdando indietro non so come ho fatto a passare nove – nove – mesi così.. all’inizio è facile, pesava anche poco, ma quando è arrivata sui 7-8 Kg ho cominciato ad accusare una certa fatica, sollevarla, metterla sulle braccia, cambiare braccia ogni quarto d’ora, sedersi per riposarsi un attimo. Mi chiedo dove ho trovato tutta quella forza fisica – per non farla cadere -. Ma anche dove ho trovato la forza emotiva, per resistere ai quei giorni, a quelle ore infinite…

nanna

nanna

Eppure, l’altra notte, guardando mia figlia ormai treenne, mi sono ritrovata a pensare a quelle nostre ore di contatto totale e un attimo di nostalgia mi ha colto, di sorpresa.  Ora che cammina, gioca, corre, va a scuola i nostri momenti di contatto fisico sono davvero pochi. E’ rimasta solo la notte quando mi dorme accanto, rubandomi il cuscino, usandomi come cuscino, mettendomi i piedini addosso o mettendo la sua manina come a tenerma vicina e non farmi uscire dal letto.

Il tempo scorre e le prospettive cambiano, come quando le ombre si allungano nelle ore vicine al tramonto e anche un bambino sembra un gigante.

Nel bel mezzo di un’altra notte, tra qualche tempo, mi ritroverò a chiedermi dove sono finiti i giorni in cui dormiva accanto a me, la sentivo respirare e tutto andava a posto. Il mondo era perfettamente allineato e io potevo dormire un sonno profondo e sereno.

Questo post nasce come lettera al direttore di una rivista di pediatria alla quale sono abbonata e sulla quale avevo letto la lettera di una mamma che lamentava la scarsità di diritti e tutele per chi decide di tornare (o non tornare) al lavoro dopo la nascita di un figlio.

E’ vero che è meglio essere tutelati che non esserlo. Senza dubbio alcuno. Però anche chi è “tutelato” deve lottare per far riconoscere i propri diritti e le tutele da essi derivanti.

Ho un lavoro full time e, dopo la nascita di mia figlia ho usufruito di 4 mesi di congedo parentale (pagati al 30%) e poi sono rientrata (quando mia figlia aveva 9 mesi) usufruendo dei permessi per l’allattamento e quindi a 6 ore (anziché 8 + una di pausa di pranzo).

Mi è stato negato il part time e così molto a malincuore (con una frustrazione che ancora adesso vivo ogni giorno) al compimento del primo anno di mia figlia sono rientrata ad orario full time.

L’unico “favore” che mi è stato concesso è di poter fare solo 30 minuti di pausa pranzo e uscire alle 17.30. Così, dopo una bella ora di viaggio sui mezzi pubblici romani, potevo rientrare a casa alle 18.30.

Che “fortuna”!

Tutto questa premessa per dire che da quando è nata mia figlia devo lottare con il mio datore di lavoro per ogni minuto di permesso, per ogni giorno di ferie. Io non ho neanche i “permessi per malattia bambino”.

Se si ammala mia figlia devo prendere le ferie oppure, con la compiacenza del mio medico, devo fingere di essere malata io. Oppure, devo lasciarla a mia madre.

Per non parlare dello stress emotivo che subisco ogni volta che devo prendere un’ora o mezzora di permesso magari semplicemente per portare mia figlia dal medico o perché c’è la festa di fine anno al nido

(la risposta del mio capo va dal “ci mandi suo marito” a “ah! Basta con questa figlia, ormai è grande, pensi al lavoro!”).

Sicuramente il mio è un caso “particolare” e dipende molto dalla scarsa “sensibilità” del mio capo, però è vero le mamme-che-lavorano sono davvero poco tutelate.

Il congedo parentale – mi restano circa 45 giorni residui – non lo potrò più prendere, perché se è vero che è un mio diritto è anche vero che va sempre concordato con il datore di lavoro, ma il datore lavoro non me lo concede.

Ogni volta per 30 minuti di permesso devo “lottare”, giustificarmi e sentirmi dire che devo pensare al lavoro e non a mia figlia!

Cioè, oltre il danno… anche la beffa!

Chi tutela la famiglia? Esistono i diritti per le mamme lavoratrici ma chi vigila su questi diritti affinché siano tutelati? Chi fa in modo che vengano applicati senza discriminazioni (tra pubblico e privato) e per ogni tipo di contratto?

Il racconto – comico – del mio parto.

Eravamo rimasti a –44 giorni all’alba.

Dopo le flebo, per non farmi mancare nulla, ho fatto i tamponi -negativi per fortuna -, la visita con l’anestesista – tutto ok e vai con l’epidurale! – e tutti i controlli per la donazione gratuita del sangue del cordone ombelicare… E proprio il giorno che eravamo andati a fare il colloquio con il trasfusionista per l’ok definitivo per la donazione, mi sono ritrovata ricoverata in ospedale: pare avessi una dilatazione di 3 cm e il collo dell’utero accorciato.

Sembrava dovessi partorire la notte stessa, alla 35° settimana…

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– 5 settimane

Nei 10 giorni di ricovero “coatto”, ne ho sentite di tutti i colori:

dal “domani lei signora esce” al “non si preoccupi lei starà con noi fino al parto”. Un giorno avevo poco liquido amniotico, un giorno andava bene, un giorno dovevo bere 4 litri d’acqua e il giorno dopo “non serve che beve acqua”; chi, con la sola imposizione delle mani sul mio ventre, riusciva a capire quanto liquido c’era e chi aveva bisogno del consulto con il mega primario…

Poi venne il vento freddo dell’amministrazione e mi ritrovai di nuovo a casa, il 1 dicembre. Alla 37° settimana. Contrazioni zero.

La ginecologa ufficiale mi ha detto che non ero dilatata e che non sarebbe nata prima, la ginecologa ufficiosa mi ha detto che sicuramente sarebbe nata prima e di andare in ospedale al primo dolore.

Insomma, l’ostetricia NON è esattamente una scienza esatta.

Alla fine ero stufa, non ne potevo più. Più i giorni passavano e più mi sentivo gonfia, stanca, enorme… Una sera, era il 13 dicembre, uscendo per la solita passeggiata serale con Luca, non sono riuscita ad infilarmi le scarpe che ho sempre portato…

“che strano!” ho pensato!

La mattina del 14 dicembre alle 6.50 una contrazione mi ha svegliato. E’ stato in quel momento esatto che ho capito quante mi hanno detto che le vere contrazioni si capiscono quando le senti! Quanto è vero!!! Mi sono riuscita ad alzare dal letto a fatica perchè volevo camminare… Dopo 40 minuti eccone un’altra…

Faccio colazione, leggera, non si sa mai. E mi vesto.. meglio essere pronte. Alle 9 le contrazioni erano ogni 20 minuti. Luca esce dall’ufficio e arriva alle 9.30. Alle 9.40 usciamo da casa.

Ostiense bloccata. A passo d’uomo. Panico. Ansia. Contrazioni. Ansia. Panico. Contrazioni. Panico.

Alle 10.20 arrivo al pronto soccorso del FbF. Sono in travaglio, ho le contrazioni ogni 5 minuti. Mi chiamano subito per la visita. L’ostetrica mi visita. Fa una faccia stupita e mi dice “Signora lei è completamente dilatata, ora la portiamo in sala parto che partorisce”. P A N I C O.Continua a leggere